Fuori dal tempo, dallo spazio, dai confini geografici. E’ questa la grandezza di Maria Carta, ancor prima della sua abilità artistica. I suoi canti sconfinano dal territorio in cui sono nati, è una voce di un passato secolare che Maria fa arrivare fino a noi. L’antichità del canto sardo esce dalle corde vocali di una bambina straordinariamente dotata suscitando emozioni profonde quando canta nelle messe, in piazza, durante le feste paesane a Siligo, paese del Logudoro-Mejlogu in provincia di Sassari, dove Maria nasce nel giugno del 1934. Fin da bambina lavora, cerca la legna con la nonna, raccoglie le olive, fila la lana, sarchia il grano. Il canto per lei è atto liberatorio. Le paure, nel buio di notte, al ritorno con la legna o col cesto dei panni in testa, sono esorcizzate dal canto.
Donne di Sardegna: Maria Carta. La voce “fuori”.

“Nel buio sentivo/echi di passi erano loro/le ombre/mi accompagnavano dal mondo passato./Allora cantavo/a voce delirante”. Così ricorda Maria nella sua poesia tratta dal libro “Canto Rituale” (1975). Riti, canti, poesie sardi sono impressi nel suo viso di una bellezza disarmante che le procura il titolo di Miss Sardegna nel 1957. E’ l’inizio di una ribellione, un’emancipazione nei confronti di una società molto amata ma troppo stretta per uno spirito che vuole camminare verso il futuro. Parte dalla Sardegna per Roma ma, come dice lei stessa: “ho buttato il mio cordone ombelicale come un’ancora, sicuramente è ancora lì, impigliato nel punto più alto di Tavolara”.
Non lascia infatti la sua isola. Intraprende una ricerca etnomusicologica per riportare in auge antichi canti popolari sardi. Visita piccoli paesi, parla con gli anziani, assorbe e custodisce tradizioni secolari. “Quando un canto ti allontana dalle paure, allora è un fatto liberatorio, magico e io sono andata a scoprire questo”, afferma. Maria si scontra con un sistema di canto popolare prettamente maschile. Lotta dimostrando la sua cultura, la sua devozione, il suo amore per la Sardegna. Vince questa battaglia, supera la difficoltà di essere accettata come donna sul palcoscenico nonostante il canto sardo fosse allora retaggio esclusivo degli uomini. Il passato musicale sardo, dal canto a chitarra alle ninna-nanne, dai gosos (canti di devozione) ai sos muttos (canti d’amore) e canti in re, sono rivisitati e riproposti da Maria intatti e contemporaneamente diversi. Restituisce la voce femminile al canto gregoriano.
La sua voce valica i confini e porta nel mondo, “Ambasciatrice del canto sardo”, come la definisce Giuseppe Dessì, anche la vita di un popolo. Si esibisce con concerti nei maggiori teatri italiani, europei e d’oltre oceano. Con lo strumento che racconta la sua anima sarda, la voce forte e passionale, Maria Carta restituisce alla sua isola poesia, dignità e legittimazione, in un periodo in cui la Sardegna era identificata solo coi rapimenti, i sequestri e i banditi. Maria sente un forte impulso sociale che esprime in versi nella sua opera di denuncia “Canto Rituale” e si manifesta nell’impegno politico come consigliera del Comune di Roma, eletta nel 1976 nelle liste del PCI . Dopo la breve partecipazione politica da lei stessa definita “un mio momento di protesta, di presa di coscienza”, continua a portare le melodie della sua terra nei teatri di tutto il mondo.
Il suo canto dà voce anche a tutti coloro che lottano per la libertà, per i diritti dei più deboli, per la giustizia. L’ultima battaglia che Maria combatte è quella contro la malattia che la porterà via prematuramente nel 1994, all’età di 60 anni. Con le sue stesse parole, un messaggio: “Io vi presento le canzoni dei miei vecchi, dei miei padri, dei padri dei miei padri. Ma vi racconto anche le pietre. Si dice che i sardi sono attaccati alle proprie pietre, ma forse è un fatto nostro inconscio perché le nostre pietre ci ricordano quello che eravamo e quelli che, in effetti, dobbiamo essere”.
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