A causa di un insolito errore di stampa, nei vocabolari distribuiti in Sardegna per molti anni non sono state inserite le parole “poco” e “fretta”. Quando le case editrici hanno rilevato il problema era ormai troppo tardi per rimediare: l’assenza di questi due semplici termini aveva già originato lo spuntino.
Ecco le tappe fondamentali di questo rito che – dal mio punto di vista di immigrato – può essere assimilato a una vera e propria maratona. L’embrione dello spuntino è l’invito, cioè l’iniziativa individuale del proprietario di una campagna, un’area agricola privata dotata di uno spazio coperto, una griglia e un tavolo lungo almeno sette metri. Solitamente il progetto nasce al mattino e viene proposto agli amici nelle prime ore della giornata. Questo permette a tutti di prepararsi all’evento in modo appropriato.
Agli occhi di un continenale l’invito a uno spuntino è un’idea lanciata così, senza intenzioni immediate, qualcosa che si farà un giorno nel futuro. In realtà si tratta di un gesto risolutivo che non prevede alcuna possibilità di ripensamenti. E’ una sorta di chiamata alle armi alla quale è necessario rispondere con un’azione molto precisa: raccogliere una ingente quantità di cibo e bevande da destinare alla condivisione. Gli alimenti sono di varia natura, di solito sono prodotti dagli stessi avventori o da loro congiunti; alcuni recenti studi sullo spuntino in Sardegna hanno rivelato che il rapporto tra numero di persone e chili di cibo è mediamente di uno a quattro.
L’arrivo dei partecipanti è di norma scaglionato, in modo che ciascuno possa presentare agli altri il proprio generoso contributo di carne, formaggi, vino, salumi, verdure e frutta. Nasce così una piccola competizione, notevolmente esaltata dalla presenza dell’ospite forestiero che viene invitato a degustare ogni specialità. Le prime ore dell’evento trascorrono placidamente, ovviamente senza alcuna senza fretta, tra fantastici profumi e sapori annaffiati da vino la cui gradiazione non può essere inferiore a 14°, pena l’esclusione dal banchetto. Viene inoltre seguita scrupolosamente la regola aurea del bicchiere mai vuoto.
Dopo aver mangiato e bevuto senza sosta per non meno di quattro ore, il continentale sprovveduto pensa di essere ormai vicino all’epilogo. E’ consapevole che presto avverrà la distribuzione del digestivo, così inizia ad accennare i primi gesti di congedo. Improvvisamente però alcuni rintocchi di clacson annunciano l’arrivo di altri amici che rientrano con le prede di una battuta di pesca.
In realtà il clacson assume anche un significato simbolico: l’inizio della fase 2. Il secondo capitolo dello spuntino è considerato un’attività defaticante e per questo prevede l’assunzione di pesce e crostacei, alimenti più leggeri destinati a bilanciare il massiccio dosaggio di carne, salumi e latticini che ha caratterizzato le prime ore della maratona. Il corpo dell’immigrato, ormai avviato al tracollo, inizia a concentrare tutte le proprie energie nello stomaco per affrontare la battaglia epocale della digestione; contemporaneamente le altre funzioni vitali – incluse quelle cerebrali – vengono ridotte al minimo.
Finalmente arriva il tanto sospirato momento del digestivo: l’entrata in scena di sua maestà l’abbardente. La magica acqua che tutto brucia si presenta in diverse varianti ed è conservata in taniche di capacità variabile tra 5 e 25 litri dalle quali viene servita in piccoli bicchieri con una tecnica sopraffina. L’abbardente precede l’atto di chiusura: l’annuncio del luogo dove si svolgerà lo spuntino di recupero, da tenersi inderogabilmente entro 48 ore per consumare il cibo rimasto. Questo sarà ovviamente integrato da nuovi prodotti enogastronomici, innescando così un fenomeno studiato nei laboratori di fisica in tutto il mondo: il moto perpetuo dello spuntino.
Poi il sole tramonta, le braci si spengono ed è tempo di recarsi al bar per la tradizionale birretta di risciacquo.