Non solo miele ci regalano le api. L’alveare è uno scrigno di tesori, doni meravigliosi ricchi di proprietà uniche ed innumerevoli. Le api sono infaticabili e generose dispensatrici di prodotti quali la pappa reale, la propoli, il polline e la cera. Ma non finisce qui l’opera di questi laboriosi insetti: sono impollinatori di molte piante importanti per l’alimentazione umana.
Da bambina avevo il terrore di essere punta da un’ape a causa di un racconto più volte ripetuto da nonna, di un suo zio morto perché assalito da uno sciame d’api. I racconti appassionati e puntuali di Zio Checco riuscirono a farmi riprendere dalla paura per le punture e a procurarmi un grande interesse per la loro vita che a questo punto trovavo fiabesca ed emozionante.
Zio mi assicurava che le api non pungono a meno che non vengano provocate e raramente lontano dal loro alveare. A pungere sono solo le api operaie, mi spiegava, e dopo aver punto muoiono perché il pungiglione è posizionato al centro dell’addome ed essendo seghettato, rimane nella pelle umana colpita lacerando i loro organi interni quando cercano di volar via.
Questa storia mi commuoveva, ma quando alcuni giorni dopo, avvicinandomi all’alveare di Zio, ho incrociato la traiettoria di volo di un’ape che mi ha punto al braccio, ho pianto non poche lacrime dal dolore.
Anche in questo caso i consigli di Zio Checco furono preziosi. “Non ti agitare – mi disse – le altre api sono attratte dalla sostanza liberata e presente sulla puntura che le mette in stato di allerta e intervengono in aiuto della “collega” in difesa dell’alveare”.
Rimasi stoicamente immobile, mentre lui scalzava con le unghie il pungiglione con il veleno e lo estraeva delicatamente facendo attenzione a non spremerne altro sul mio braccio. Prese quindi il suo coltello tascabile e appoggiò la parte piatta della lama sulla puntura per alcuni minuti. Ho capito poi che questa operazione era fatta in mancanza di ghiaccio che sarebbe stato più appropriato per anestetizzare il punto dolorante. Da una pianta di aloe raccolse una foglia non giovane, la spezzò e il gel che ne fuoriuscì lo spalmò sulla puntura. L’azione immediata sulla pelle fece cessare il rossore e il prurito. Appena a casa, nonna continuò la cura con una fettina di limone sulla zona interessata, sperando vivamente che la nipotina non fosse allergica al veleno d’ape tanto da dover ricorrere alle cure del medico condotto. (La condotta medica era la struttura della medicina di base per l’intero paese).
Nonostante questo piccolo incidente, ho subito riacquistato il coraggio e, alla visita successiva, ho chiesto allo “Zio del Miele” di raccontarmi la favola della “pappa reale”. Con calma e pazienza mi spiegò che sono le giovani api operaie a produrre questa sostanza (una specie di saliva) dall’odore pungente e dal sapore acido e aromatico, con le ghiandole della faringe e della mandibola.
La producono per nutrire esclusivamente l’ape, che, al decimo giorno di alimentazione, diventerà un’ape regina; verrà quindi nutrita per sempre con questo nobile prodotto riuscendo, grazie alle sue proprietà specifiche e miracolose, a vivere fino a 3-4 anni, a volte anche 5. Le api operaie e i fuchi (i maschi dell’ape) vivono invece solo 4-6 settimane d’estate e 5-6 mesi d’inverno.
“Qui in paese – mi spiegava Zio – si da ai bambini e agli anziani per integrare la loro alimentazione e renderli più forti per affrontare le eventuali malattie”. Si dava anche al bambino che faceva passare notti insonni a mamma e papà, agli anziani per combattere l’invecchiamento, ai lavoratori dei campi per diminuire lo stato di affaticamento. Si dava ai malati per accelerare la guarigione, ai debilitati perché potessero riacquistare le energie, ai convalescenti per facilitare il ritorno alla vita normale, agli inappetenti e alle donne in gravidanza e durante l’allattamento essendo assolutamente privo di controindicazioni. Un vero “miracolo della natura” che, unito a farmaci specifici, può aiutare a combattere diverse malattie.
Zio non raccoglieva molta “pappa reale” perché l’operazione avrebbe comportato la distruzione delle celle reali dove viene depositata causando quindi la morte di future preziose api regine. Se non abbiamo un alveare a disposizione, possiamo procurarci la “pappa reale” in farmacia o erboristeria, meglio dopo aver consultato il nostro medico di base.
Mi parlava anche di un altro prodotto altrettanto miracoloso, la propoli, un’elaborazione di resina masticata e mescolata con gli enzimi della saliva che ha proprietà antisettiche e cicatrizzanti. Per spiegarmene bene l’uso, zio ne prese una piccola quantità dalle pareti delle celle, approfittando dell’assenza delle api operaie fuori per “lavoro”, e la mise su alcune escoriazioni alle mie ginocchia per accelerarne la cicatrizzazione. Grande fu la mia sorpresa quando l’indomani le mie piccole ferite stavano guarendo!
Attualmente viene usato come antibiotico naturale, in erboristeria anche sotto forma di piacevoli caramelle da sciogliere in bocca. Io, durante la stagione fredda ne faccio regolarmente uso (almeno una al giorno) per golosità e per aiutare a prevenire i noiosi malanni invernali.
Ma non finisce qui la storia delle api! Ogni volta che accendevamo una candela (succedeva frequentemente per la precarietà della neonata linea elettrica del paese) Zio mi ricordava che la cera proveniva dalle sue api e che per produrne la quantità giusta per una candela consumano un litro di miele. La producono trasformando naturalmente gli zuccheri del miele con la secrezione delle ghiandole addominali, si solidifica al contatto con l’aria e le api, abilissime costruttrici, la modellano per formare i favi, cioè un gruppo di piccole celle dove viene depositato il miele.
La combustione delle candele di cera d’api non produce sostanze pericolose anzi lascia un delicato piacevole aroma. La cera delle api è usata per lucidare mobili e cuoio, nella cosmesi, nella farmaceutica e anche per uso orafo per creare stampi con la “fusione a cera persa”. La cera d’api trova inoltre applicazione anche in campo alimentare come additivo lucidante e per rivestire i formaggi.
Io uso molto le candele specialmente al centro della tavola apparecchiata per un’occasione speciale. Con gli avanzi di tutti i colori ripeto un’operazione che ho visto fare a mamma tante volte. Li sciolgo a bagno maria e ne ricavo altre variopinte candele sagomandole aiutandomi con uno stampo (anche un vecchio bicchiere), appena raffreddati, ma non troppo, usando un intreccio di fili di cotone imbevuti di cera come stoppino.
E per ultimo, non certo per importanza, Zio mi parlava del grande contributo delle api all’impollinazione. Si trattava di una semplice lezione di “educazione sessuale”: le api volano, si posano sui fiori aiutando le piante e numerose colture alimentari a riprodursi. Raccolgono il nettare e il polline, lo trasferiscono di fiore in fiore regalandoci così prodotti preziosi per la nostra alimentazione.
Ne è passato di tempo dai racconti di Zio Checco! Rabbrividirebbe scoprendo come, per mano dell’uomo, questa specie vitale per l’ecosistema sia anche tra quelle più a rischio. In 30 anni (1980-2010) la popolazione di api si è ridotta del 36%.
Per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della protezione e della salvaguardia di questi preziosi insetti, il 18 ottobre 2017 è nata la giornata mondiale delle api (World Bee Day) per volontà dell’assemblea Generale delle Nazioni Unite.
E’ stato scelto il 20 maggio come giornata per la tutela di questa specie perché coincide con la data di nascita di Anton Jansa (1734-1773) che nel XVIII secolo fu pioniere delle tecniche di apicoltura nel suo paese natale, la Slovenia. Proprio la Slovenia ne ha promosso la celebrazione e ha riconosciuto l’importanza vitale di questi insetti e, prima al mondo, dal 2011 ha vietato l’uso di pesticidi su tutto il territorio nazionale.
Uso intensivo di fitofarmaci e di pesticidi, cambiamenti climatici, perdita di biodiversità e inquinamento sono le cause della morte di intere colonie di api. Una distruzione provocata da comportamenti sconsiderati dell’uomo che mettono in pericolo la sicurezza alimentare e il futuro dell’umanità.