“Ho visto l’alba e il tramonto, il sorgere della luna nell’immensa solitudine delle montagne, ho ascoltato i canti, le musiche tradizionali e le fiabe e i discorsi del popolo. E così si è formata la mia arte, come una canzone o un motivo che sgorga spontaneo dalle labbra di un poeta primitivo”. E’ il 10 dicembre 1927. A Stoccolma Grazia Deledda, a tutt’oggi l’unica scrittrice italiana ad aver conquistato l’ambito riconoscimento, usa queste parole nel suo discorso di accettazione del premio Nobel per la letteratura.
Scrivere di un monumento letterario oggi universalmente riconosciuto come Grazia Deledda mette un po’ soggezione; lo faccio, in occasione del 150° anno dalla sua nascita, non senza il dovuto timore reverenziale.
Grazia Maria Cosima Damiana, Grazietta la chiamano in famiglia, nasce il 27 settembre 1871 a Nuoro, una città dove la donna è guardata con sospetto solo se ama leggere, non può frequentare la scuola oltre la quarta elementare ed è segregata in casa con l’unica missione di lavorare e procreare. Lei però non solo ama leggere ma ama anche scrivere, passione e dote che ha sin da bambina e a cui non è disposta a rinunciare; non ha alcuna intenzione di sottostare alle regole imposte al suo essere donna. Continua a studiare da autodidatta, divora i libri della biblioteca paterna, dedicandosi in modo particolare allo studio della lingua italiana, che ai tempi non si parla né in paese né in casa. Pubblica, solo quindicenne, la sua prima novella su un giornale nuorese e di seguito diversi racconti e novelle sulla rivista romana “L’Ultima Moda”.
La sua voglia di sapere e la sua dedizione alla scrittura sono considerate scandalose dalla gente e dalla chiesa. Il prete, durante la predica domenicale nella chiesa principale di Nuoro, la addita in pubblico per la sua “diabolica attività”. Grazia non demorde, si ribella a tutte le abitudini, le tradizioni, gli usi del tempo, continua a dedicarsi agli studi, a leggere. Si difende dalle critiche con coraggio, risoluzione e tenacia, insolite in una giovane donna di fine ottocento. Grazia è cosciente del proprio talento; capisce, da subito, che le sue radici sarde sono la sua ricchezza, ma sa anche che se vuole che il suo sogno di affermarsi come scrittrice si avveri, deve lasciare la sua terra prima che questa la inghiotta con le sue implacabili tradizioni.
Per realizzare quella che sente essere la sua vocazione e alla ricerca di una possibilità per lasciare la Sardegna, inizia una fitta corrispondenza con molti editori, direttori di giornali; scrive appassionate lettere d’amore a giovani della nobiltà locale, innamorati o presunti tali che considera anche probabili salvatori della sua condizione. Come “Prometeo incatenato alla rupe suo malgrado”, si sente reclusa nell’isola magica che la tiene prigioniera. Dopo alcune cocenti avventure sentimentali, conosce finalmente l’uomo della sua vita, l’uomo che la sosterrà nella sua passione per la scrittura e grazie al quale realizza il proposito di lasciare la sua isola perché viene trasferito a Roma per lavoro.
E’ a Roma che, frequentando gli ambìti salotti letterari dove incontra critici, scrittori ed editori e dove finalmente si sente culturalmente appagata, il suo ritmo creativo accelera: in meno di dieci anni dà alle stampe i suoi romanzi più importanti, da Cenere a Canne al Vento,da Marianna Sirca a La Madre. Nonostante i successi che la incoronano, c’è ancora chi la ritiene una scrittrice provinciale, una piccola borghese di vedute limitate con un sorprendente talento naturale.
Con determinazione continua a combattere contro le critiche che si susseguono fin dall’uscita del suo primo romanzo Fior di Sardegna e che le vengono anche dai suoi concittadini. Come si può permettere quella giovane di mettere in piazza i fatti privati della sua gente? Non riescono ad accettare quel verismo, anche se delicato e mitigato da un dolce romanticismo, che esce dai suoi scritti quando racconta usi, costumi e tradizioni della sua Isola che fa risultare magica ed eterna come solo i grandi scrittori sanno fare.
Assieme alle critiche conquista un pubblico di lettori che la apprezzano, si appassionano alle sue storie e diventano sempre più numerosi; ogni giorno arrivano decine di lettere piene di affetto e considerazione. La vita romana, a cui lei ambiva fin da giovane, quando sognava di uscire dall’isolamento provinciale, è un forte stimolo per Grazia. La sua produzione è una valanga di più di 30 romanzi, oltre 300 racconti e novelle pubblicati su diverse riviste, due drammi teatrali e un libretto d’opera, che, tradotti in molte lingue, raggiungono tutti i continenti.
Grazietta, in verità fisicamente piccola, diventa la grande scrittrice che tutti conosciamo, che produce grande letteratura, che realizza il suo sogno di creare una letteratura completamente ed esclusivamente sarda ma che tutti possano apprezzare e che, narrando della sua terra d’origine e degli uomini come sono e come lei li ha conosciuti, porta il nome della Sardegna e dei sardi nel mondo.
Se Roma diventa la sua città, la terra di Sardegna rimane nel suo cuore e certamente nella sua penna, come è evidenziato nella motivazione per il conferimento del premio Nobel: ”Per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale”. Legato al premio Nobel c’è un simpatico episodio che i figli spesso raccontavano sorridendo. Quando l’ambasciatore di Svezia si recò nella loro abitazione romana, ad aprire la porta uscendo dalla cucina, infarinata, col grembiule e un foulard a coprire i capelli grigi, andò Grazia; alla domanda del messaggero del premio Nobel che chiese se la signora fosse in casa, rispose brusca “la signora è appena uscita” e chiuse la porta.
E’ il carattere di una piccola donna, che ci ha lasciati nel 1936, una jana della mitologia sarda, ma con una forza da gigantessa che riesce, con determinazione, fermezza e sicura del proprio valore, ad emanciparsi attraverso la letteratura e ad aprire la strada a tutte quelle ragazze che ripongono nel cassetto sogni ed ambizioni anziché combattere per raggiungerli.
Nella foto, Grazia Deledda ad alta quota – un aereo della Nowegian Air dedicato alla scrittrice nuorese nel 2019.