Domani 27 settembre ricorre il 150° anniversario della nascita di Grazia Deledda. Molti gli eventi e le iniziative che si sono succedute durante l’anno e che proseguiranno in occasione di questa ricorrenza. Noi vorremmo ricordarla, oltre che come grande scrittrice, come donna. Una donna dell’ottocento, la sua lotta per raggiungere il successo e parlare del vero tema portante delle sue opere: l’eros.
Molto si è scritto di lei, delle sue numerose opere dove dipinge una Sardegna povera, popolare e primitiva, del premio Nobel che nel 1926 per la prima volta gratifica l’arte letteraria di una donna. Di lei si preferisce dare un’immagine rassicurante di moglie e madre dedita alla scrittura e dalla moralità rigorosa e composta. Una piccola donna sarda dalla vita morigerata, dalla religiosità prorompente dei suoi romanzi e della sobrietà e discrezione con cui si muove nell’ambiente sociale e letterario dell’epoca.
Raramente si parla di Grazia Deledda come donna che combatte. Una piccola (154 cm. di altezza) grande donna, forte, inflessibile, tenace, sicura di sé e di quello che dovrà essere il suo futuro. Una donna alla ricerca di quel successo che avrebbe coronato il suo sogno e che l’avrebbe consacrata come una delle scrittrici italiane più importanti.
Non si parla abbastanza della forza con cui caparbiamente lotta per farsi conoscere. Nelle numerose lettere con cui si promuove senza inibizioni, si descrive “una fanciulla con qualcosa di selvaggio, un po’ spagnuola, un po’ araba e un po’ latina” stimolando la curiosità di personaggi di potere, editori, direttori di giornali e critici letterari.
Una lotta che inizia molto presto a Nuoro dove nasce nel 1871. All’epoca una città dove una donna è criticata solo per il fatto di saper leggere ed amare i libri, obbligata a nascondere i suoi capelli dietro ad un fazzoletto scuro e ad abbandonare la scuola dopo le elementari. (La famiglia di Grazietta, benestante, le permette di continuare gli studi con un precettore).
Scopre presto, leggendo i romanzi russi, che il suo futuro è la scrittura. Ma non basta sognare, bisogna darsi da fare per “farsi un nome”, per far conoscere il proprio lavoro. Promuove come un moderno “manager” il proprio talento creando una rete di relazioni epistolari: una disinibita eroina dell’emancipazione femminile alla cui base c’è una grande fiducia in sé stessa. Questo aspetto della vita di Grazia Deledda viene però sottaciuto come se fosse intollerabile per una donna dell’epoca gestire il proprio talento. “Ho il sogno continuo e tormentoso della celebrità. Perciò mi attacco quasi inconsapevolmente a chi mi promette di aiutarmi a farmi un nome”, confessa ad un suo amore non ricambiato.
Di battaglie per raggiungere la celebrità ne combatte tante nel corso della vita, fin da bambina. “Quando cominciai a scrivere, a 13 anni, fui contrariata dai miei”, raccontò nel discorso durante la consegna del Premio Nobel. I paesani non la perdonarono mai per aver abbandonato la Sardegna alla ricerca del successo oltre che per aver narrato della sua terra storie di povertà, di banditi, di vendette e soprattutto di non essersi sottomessa al destino nascosto, pudìco e casalingo di ogni donna per bene.
Grazia Deledda non si ferma nemmeno di fronte alle critiche più dure che definiscono la sua scrittura “rozza, illetterata, piena di esitazioni espressive, sull’orlo del difetto stilistico, grammaticale e linguistico”. Così scrive un critico letterario dell’epoca a cui la scrittrice spiega in un articolo su “Fiera Letteraria” del 28 marzo 1926 che il giudizio dei critici non le interessa granché perché la disorienta. E lei la direzione l’ha ben chiara.
Si deve proprio alla sua caparbietà se oggi possiamo beneficiare del vasto patrimonio letterario che questa grande scrittrice ci lascia: 32 romanzi, 250 racconti, due drammi teatrali, alcuni versi, un libretto d’opera, una raccolta di racconti popolari sardi e la sceneggiatura del film tratto dal suo romanzo “Cenere” interpretato da Eleonora Duse.
Scrive solo di cose che conosce: la sua terra e la lotta fra il bene e il male che scorge nella sua gente. I suoi romanzi raccontano l’amore, la morte, il peccato, la colpa, l’espiazione. Ma nelle sue opere c’è anche un tema che ricorre e di cui pochi hanno parlato. Il primo è lo scrittore inglese D. H. Lawrence che scopre il vero motore dell’opera deleddiana: l’eros. Anche la saggista Neria De Giovanni, che dedica 12 volumi alla scrittrice, basa la sua ricerca su questo argomento.
Vicende erotico-amorose vissute con un profondo senso di colpa, come eventi deprecabili da redimere. Il prete Paulo che nel suo romanzo “La Madre” si innamora di una fedele e vive un viscerale conflitto tra una passione carnale e istintiva che lo divora, lo scandalo che si troverebbe a fronteggiare qualora cedesse e il dolore che provocherebbe alla madre che muore di crepacuore pur di non affrontare la vergogna di fronte ai paesani. Il servo Pietro, nel romanzo “Via del Male” che si innamora e conquista la superba padrona “…si abbandonarono senza freno alla loro passione selvaggia”. Marianna in “Marianna Sirchia”, donna disinibita che sfida le regole e i giudizi dei paesani, si ritira in campagna per poter ricevere nel suo letto Simone Sole, un giovane bandito latitante.
Anche nella vita Grazia Deledda ha una certa passione amorosa. Le sue relazioni epistolari mirate a promuovere le sue opere, sono anche un mezzo per coltivare le sue relazioni amorose, anche quelle non corrisposte. Conosce infine nell’ottobre del 1899 a Cagliari Palmiro Madesani che corrisponde al suo ideale estetico maschile descritto in molti suoi romanzi: alto, capelli e occhi chiari e soprattutto in via di trasferimento a Roma come funzionario statale. Si sposano dopo due mesi: la porta per arrivare nella grande città e conoscere personaggi importanti per il suo futuro, era aperta.
A Roma muore, in una città deserta, il giorno di ferragosto del 1936 dello stesso male che uccide la protagonista del suo romanzo “La Chiesa della Solitudine” che oggi conserva il suo corpo. Un’ulteriore conferma che Grazia Deledda, al di là del suo vissuto, fu anche appieno tutti i personaggi dei suoi libri.