“Vi invitiamo a considerarci non come rappresentanti del solito sesso debole e gentile, oggetto di formali galanterie e cavallerie d’altri tempi, ma vi preghiamo di valutarci come espressione di quella metà del popolo italiano che ha pur qualcosa da dire”.
Con queste parole le donne nel 1944 difendono la richiesta di suffragio femminile nel memorandum consegnato al governo Bonomi da parte di tutte le associazioni femminili impegnate e combattive sul fronte del voto alle donne.
Bastianina Martini Musu, prima firmataria del memorandum e strenua sostenitrice della battaglia per il suffragio universale, nasce a Sassari nel dicembre del 1892 da una famiglia storica della città turritana: il padre è proprietario del “Gran Caffè Italia” in Piazza Castello.
Fin da giovanissima è fervente attivista e si fa notare negli ambienti degli intellettuali repubblicani sassaresi, frequenta uomini come Emilio Lussu e Mario Berlinguer che condividono con lei l’orientamento democratico.
Si diploma, diventa maestra elementare, si fidanza con Domenico Musu e decide di sposarsi solo dopo aver avuto la promessa dal futuro marito di trasferirsi insieme a Roma. Il 17 marzo 1918, il piroscafo “Tripoli” che li deve portare da Olbia a Civitavecchia viene colpito dal siluro di un sommergibile tedesco e affonda portando con sé 300 persone. I due sposi non sono a bordo. Poco prima dell’imbarco Bastianina ha un malore e non partono.
A Roma si iscrive alla facoltà di pedagogia ma abbandona presto gli studi per dedicarsi all’attività politica. Partecipa, senza farsi intimidire dalla violenza squadrista, a manifestazioni operaie insieme agli antifascisti più combattivi.
Inizia attivamente la sua battaglia pro suffragio femminile organizzando i primi gruppi di donne repubblicane e scrivendo articoli a favore del voto femminile su “Vita Repubblicana”.
Nel 1925 nasce la figlia Marisa che seguirà le orme della madre e militerà nel Partito Comunista Italiano.
La sua casa in Via Orazio nel quartiere Prati a Roma, è luogo di incontri dei vecchi compagni repubblicani da cui può ripartire l’azione. Quando Mussolini fu deposto, Bastianina aiuta gli esuli comunisti come Amendola e Longo, rientrati a Roma, a trovare alloggio. E’ tra le donne di Roma più coraggiose che cospirano contro i tedeschi. Diventa, insieme alla figlia Marisa, partigiana cercando di rendere impossibile la vita agli occupanti. Fa pedinamenti, nasconde e trasporta armi ed è attiva nella formazione del Partito d’Azione.
La figlia viene arrestata e rinchiusa alle “Mantellate”, il carcere femminile di Roma. Lì Bastianina le porta grandi thermos con infusi d’orzo. Nascosti sul fondo svitabile, trovano posto i bigliettini con le notizie su quello che sta succedendo fuori. Riesce anche a farla evadere facendole arrivare istruzioni precise col solito thermos.
E’ operata di tumore al seno, ma subito dopo l’intervento riprende la sua attività nel Comitato di Difesa della Donna con Rita Montagnana, moglie di Togliatti. Scrive su molti giornali a favore di questa sua “missione”, fonda l’UDI (Unione Donne Italiane) nel settembre del 1944 insieme a donne di vari schieramenti che si uniscono per superare le resistenze per la concessione dei diritti politici alle donne. Indipendentemente dalla provenienza, tutte avevano a cuore la tutela dei diritti, l’emancipazione femminile e l’uguaglianza tra i sessi al lavoro e a casa. Sono tempi in cui le donne sono sottoposte a patria potestà, non hanno accesso a molti ruoli della pubblica amministrazione e il divario salariale fra uomini e donne è sancito per legge, e, soprattutto non avevano diritto a votare né tanto meno ad essere elette.
Finalmente il 1° febbraio 1945, con Decreto Legislativo Luogotenenziale, si sancisce il voto alle donne. Possono votare ma, come consigliato dal “Corriere della Sera” in un articolo del 2 giugno 1946, senza rossetto perché leccando i lembi per incollare la scheda, la stessa si potrebbe macchiare e rendere perciò nullo il proprio voto!
Bastianina fu nominata alla Consulta, Assemblea Legislativa a carattere temporaneo, nei primi mesi del 1945 da Ferruccio Parri. Lì avrebbe parlato a nome di tutte le donne che per la prima volta possono liberamente esprimersi in un’assemblea democratica e della grande massa di donne italiane che finalmente sono ammesse al voto per decidere, alla pari degli uomini, le sorti del nostro paese.
Lei aveva lottato per questo, per tutte loro e per tutte noi. Ma non fu possibile; prima dell’insediamento della Consulta, che segnava l’esordio delle donne nella vita politica, la malattia, il 21 ottobre 1945, la porta via.