“Ha 23 anni, è una ragazza molto sensibile ai problemi di chi, solo per motivi geografici, stenta a sopravvivere; si laurea e invece di cercare un lavoro nella zona d’Italia con maggiori possibilità, decide di andare in Kenia come volontaria ad aiutare i bambini.
O avreste preferito una ventenne che si sballa in discoteca?
La rapiscono e passa 18 mesi col terrore di venire uccisa, stuprata, violentata.
Vive 518 giorni in stanze buie – cambia 6 covi – dorme a terra sorvegliata a vista da uomini armati…
Ma non va bene se, scendendo dall’aereo che finalmente la riporta a casa, sorride, vestita con ciò che ha indossato per un anno e mezzo e dichiara di stare bene e di aver cambiato religione. Nonostante questa terribile esperienza, il giudizio che si da su questa giovane, proprio in quanto donna, è sul vestito che indossa, sul sorriso che tende a rassicurare i suoi cari e sulla sua scelta personale di fede.
“Così come è stata criticata Carola Rackete per ever deposto in questura in maglietta senza reggiseno; così come se porti la minigonna e ti stuprano, te la sei cercata” ci ricorda Michela Murgia in un suo intervento sui social.
Padre Giulio Albanese, missionario comboniano cerca di frenare i giudizi sulla conversione all’Islam di Silvia e, in un’intervista al Corriere della Sera dichiara “non sappiamo quali siano le condizioni spirituali e mentali” di questa giovane che sopravvive per così tanto tempo in condizioni di privazione totale della libertà in mano a gente che “te ne fa di cotte e di crude” afferma il missionario che conosce bene quel mondo per aver operato in Africa ed essere stato a sua volta sequestrato, anche se per pochi giorni ma quanto basta per “uscire con le ossa rotte da quell’esperienza”.
E cosa dire infine del sorriso?
“Pensavo, sorridendo, di poter gioire con tutti voi della mia riconquistata libertà” scrive in un suo post su facebook.
Ma si può chiamare “libertà” essere bersaglio delle critiche più dure e cattive, essere presa di mira e colpita nelle proprie intime scelte?”