La pandemia è come un terremoto. Una bomba che esplode all’improvviso.
Mario Figoni, specialista in malattie infettive, ha lavorato in progetti a carattere sanitario in molti paesi africani e asiatici inserito in varie strutture internazionali di aiuto “laddove la sofferenza domina” come scrive nel suo libro “Operare nei paesi in emergenza” uscito nell’autunno 2019. Al suo rientro in Italia ha lavorato quindici anni come dirigente medico della IV divisione AIDS donne dell’ospedale D. Cotugno di Napoli. Ha poi dovuto abbandonare la professione per motivi di salute. Vive ad Alghero, che definisce il “mio buen retiro”, con 2 figli e la moglie Milita, capoverdiana, sposata nel lebbrosario di Fogo, Isole Capo Verde dove arrivando aveva trovato 800 malati in registro e dove ripartendo ne aveva lasciati solamente 50. “E’ la mia gratificazione più grande” asserisce con malcelato orgoglio. Sta per uscire il suo terzo libro, quest’ultimo sull’emergenza COVID 19 edito da l’Harmattan di Torino.
Gli ho chiesto un’intervista in videochiamata e nella risposta è racchiusa la sua idea sulla questione emergenza “possiamo vederci di persona, avrà mica paura del virus?”
La sua esperienza pluriennale fra la miseria, le malattie endemiche ed epidemiche – morbillo, colera, tifo, lebbra, Aids -dei paesi poveri e la sua preparazione specifica su come affrontare un’epidemia, acquisita come medico della CRI, lo portano a considerare questa emergenza come un evento quasi naturale. Era necessario, sostiene, mettere in campo all’inizio tutte le misure di isolamento, bloccare gli accessi al paese e dotare di mascherine FP3 tutti i medici, il personale sanitario, le forze dell’ordine e i malati. “Ora servono a poco le mascherine cosidette chirurgiche, lui non le ha mai portate in questo periodo, o altre misure restrittive – spiega il dottor Figoni – Non si può rincorrere il virus, quando è ormai in circolazione si riproduce, si modifica, fa il suo corso e, purtroppo, le sue vittime. Noi occidentali crediamo che la medicina risolva tutti i nostri problemi di salute ci pensiamo imbattibili e ci dimentichiamo spesso che nel resto del mondo tanta gente continua a morire di morbillo, aids, colera, tifo ed altro. Il virus ci ha dimostrato che esiste una giustizia sociale mondiale, se così possiamo definirla”.
Le pandemie, la storia lo insegna, scoppiano sempre in paesi poveri, con scarse possibilità igieniche e mancanza di cibo; questa ha colpito in maniera più forte il ricco occidente. Le norme igieniche sono necessarie come fondamentale è aerare spesso i locali in cui si vive; è necessario tenere aperte le finestre per pochi minuti per sanificarli. Le finestre delle camere nelle RSA sono quasi sempre chiuse… All’aria aperta o in ambienti ben aerati il virus non trova terreno fertile. Spiega che “un’epidemia è una bomba che esplode all’improvviso, è come un terremoto” all’epicentro c’è la catastrofe, nel caso italiano le provincie lombarde. Successivamente si propaga, in forma sempre più blanda; la nostra regione è stata colpita in modo lieve per questo e per il fatto di essere un’isola, scarsamente popolata quindi meno soggetta a spostamenti di persone.
Mario Figoni ritiene negativo il trasferimento delle competenze in materia sanitaria alle regioni. “La gestione della sanità pubblica in mano alle Aziende Sanitarie Locali che, per loro natura, tendono a realizzare profitto trattando un prodotto che si chiama “salute”, ha portato ad una diminuzione di posti letto, un mancato adeguamento del personale medico e sanitario, chiusura di reparti e di ospedali. Questo ha impoverito il territorio di strutture fondamentali per questo tipo di emergenza.
Alla mia domanda per sapere quando usciremo da questo incubo mi risponde semplicemente: “Ne siamo usciti! Le ondate successive continueranno, come quando si getta un sasso in acqua, fino al suo esaurimento naturale”.