Inizia oggi una rubrica che ci accompagnerà ogni lunedì e che parla della lingua che cambia, la lingua che racconta l’oggi con lo sguardo al futuro anticipando spesso i tempi. La lingua si sa è come l’acqua, non è mai la stessa ma vive e subisce il continuo influsso delle generazioni che la utilizzano. E’ il primo segno tangibile dell’avanzare dei tempi e descrive ciò che siamo, vorremmo essere o cerchiamo di diventare. La lingua è identità, o assenza di essa, una forma d’identità anche questa. Lo stesso Alessandro Manzoni nel suo carteggio sulla “Questione della lingua” del 1821 raccontava l’importanza di un linguaggio comune, la necessità della lingua di adeguarsi al mutare dei tempi.
“Manca completamente a questo povero scrittore questo sentimento – per così dire – di comunione col suo lettore, questa certezza di maneggiare uno strumento ugualmente conosciuto da entrambi. (…) Che cosa significa italiano in tal senso? Secondo certuni [italiano] è ciò che è consegnato nella Crusca, secondo altri ciò che si capisce in tutta Italia, ovvero dalle classi colte; la maggior parte non applica a questa parola alcuna idea determinata.”
La lingua comune ci descrive nel pieno delle nostre mutazioni, siano esse repentine, lente o invisibili; la lingua lo sa che prima o poi quel vocabolo sarà sostituito, non esisterà più per lasciare spazio a uno più moderno, meno aulico o più corto.
In quest’epoca di pandemia, diverse parole sono state ripescate dal dizionario impolverato, altre stanno lentamente abbandonando il nostro quotidiano. Ecco perché oltre ad esserci un’emergenza Coronavirus c’è un’emergenza parole.
Un’emergenza non dettata da una mutazione nella lingua, ma di un suo impoverimento dettato dalla continua sintesi, dall’eccessiva fretta che lascia poco tempo all’articolazione di pensieri complessi.
Christophe Clavè ha articolato questa problematica e il suo pensiero è stato più volte ripreso in questi mesi. Eccone un’estratto:
“Dalla fine degli anni 90 il QI è in diminuzione e una delle cause potrebbe essere proprio l’impoverimento del linguaggio. Diversi studi dimostrano infatti la diminuzione della conoscenza lessicale e l’impoverimento della lingua: non si tratta solo della riduzione del vocabolario utilizzato, ma anche delle sottigliezze linguistiche che permettono di elaborare e formulare un pensiero complesso.
La graduale scomparsa dei tempi (congiuntivo, imperfetto, forme composte del futuro, participio passato) dà luogo a un pensiero quasi sempre al presente, limitato al momento: incapace di proiezioni nel tempo – sostiene Christophe Clavè – La semplificazione dei tutorial, la scomparsa delle maiuscole e della punteggiatura sono esempi di «colpi mortali» alla precisione e alla varietà dell’espressione..
Meno parole e meno verbi coniugati implicano meno capacità di esprimere le emozioni e meno possibilità di elaborare un pensiero. Gli studi hanno dimostrato come parte della violenza nella sfera pubblica e privata derivi direttamente dall’incapacità di descrivere le proprie emozioni attraverso le parole. Senza parole per costruire un ragionamento, il pensiero complesso è reso impossibile. Più povero è il linguaggio, più il pensiero scompare (…) Se non esistono pensieri, non esistono pensieri critici. E non c’è pensiero senza parole.
(…)Come è possibile catturare una temporalità, una successione di elementi nel tempo, siano essi passati o futuri, e la loro durata relativa, senza una lingua che distingue tra ciò che avrebbe potuto essere, ciò che è stato, ciò che è, ciò che potrebbe essere, e ciò che sarà dopo che ciò che sarebbe potuto accadere, è realmente accaduto? (…)
E’ necessario insegnare e praticare la lingua nelle sue forme più diverse. Anche se sembra complicata. Soprattutto se è complicata. Perché in questo sforzo c’è la libertà. (…) Non c’è libertà senza necessità”.
Corriere Sardo durante queste 52 settimane del 2021 darà il suo contributo per aiutare questa nostra lingua e la mobilità del pensiero, senza combattere la modernità ma traghettandoci al suo interno con un bagaglio di conoscenze che ci possa arricchire.
Ad aiutare noi di Corriere Sardo ci saranno le giovani studentesse e i giovani studenti sardi che classe per classe sceglieranno le parole da mettere in valigia. Una valigia piena di parole poco utilizzate o finite nel dimenticatoio perché non più di moda, perché troppo lunghe da scrivere nei social, o perché troppo italiane e poco internazionali.
Là dove tutto va sintetizzato e dove le emozioni vengono sostituite dalle emoticons, là dove tutto è breve e schematico, noi torniamo ad educare al linguaggio corretto, ma non perché lottiamo contro i mulini a vento, siamo antichi o contro la modernità, ma perché articolare un pensiero fa fare ginnastica alla mente.. e di questi tempi ne abbiamo bisogno!