“C’è chi nasce con una particolare esigenza. Di essere fuori dal mondo, di non rispondere a tutte le leggi che governano la società”. La piccola Jana sfida un mondo che non accetta le donne se non nei ruoli tradizionali di moglie e madre, per perseguire il suo sogno, coltivare la sua passione per l’arte.
Maria Lai, “inventata da un Dio distratto”, nasce a Ulassai nell’Ogliastra nel 1919; viene portata a Cardedu, affidata, come è consuetudine all’epoca, a una coppia di zii senza figli, anche per la sua salute delicata che richiede particolare attenzione e un clima marino.
Maria è una bambina che ama la solitudine, ascoltare il silenzio nei boschi e tra le montagne. Qui, per gioco cambia il suo nome che resterà per i suoi cari Lola per tutta la vita. Lola fu la risposta dell’eco quando Maria gridò il suo nome nei pressi di una roccia leggendaria. Il desiderio di partire, di allontanarsi dalle persone care per timore di perdere la libertà, la porta a salire, ancora bambina, su un carro di zingari, incuriosita da quella vita da nomadi.
E’ subito scoperta e riportata a casa dei genitori adottivi dove rimane fino alla morte degli zii e, all’età di nove anni, torna a Ulassai.
Per Maria la felicità si raggiunge “quando non si appartiene a nessuno, quando si è universali, più vasti. Il vero amore è quello che aiuta l’altro ad essere libero”. Lola conquista la sua libertà: studia e dal suo primo professore di lettere, lo scrittore Salvatore Cambosu, impara ad ascoltare il ritmo fluttuante della poesia che darà alle sue opere una suggestione poetica e le renderà uniche e vive. Frequenta lo studio dello scultore nuorese Francesco Ciusa dove impara a trasferire sulla creta la sua capacità di modellare forme con il pane, prima scuola d’arte che Maria bambina frequenta fra le donne di Ulassai, dando vita a creazioni autonome, singolari. Il paesino dell’Ogliastra è diventato ormai troppo stretto per Lola. Parte per il continente, nonostante l’opposizione dei genitori che temono le critiche dei paesani, e frequenta il liceo artistico a Roma.
La sua caparbietà, la sua audacia, la sua forza di donna che lotta contro le regole sociali, contro chi sostiene che “mai nessuna donna nella storia diventerà un’artista”, le fa sopportare anche la severità ed il rifiuto per le donne di Arturo Martini, suo maestro di scultura all’Accademia di Venezia dove si trasferisce per sfuggire alle difficoltà di vivere a Roma nel pieno della seconda guerra mondiale. Nell’Isola fa ritorno nel 1945, dopo essere stata data per dispersa, a bordo di una scialuppa. Affronta difficoltà e dolori. L’arte è la sua via di fuga. “L’arte, la bellezza ci può salvare la vita. L’arte come un filo che unisce, che crea relazioni, che aiuta a vivere”. Lega la sua vita, con un filo magico, alle tradizioni, ai racconti, al sapere antico, alla tessitura che è alla base di gran parte della sua produzione artistica. Scultura, pittura, disegno, collage, lenzuola scritte, telai, libri cuciti, interventi ambientali, azioni teatrali.
Opere nate nel silenzio e nell’isolamento, la sola condizione possibile per sognare e creare. Opere originali ed evocative di miti e tradizioni arcaiche. “Dalle leggende nasce l’opera d’arte”.
Ulassai ricorda ancora questa piccola Jana che, nel 1981, ispirata ad una leggenda e col coinvolgimento di molti paesani, realizza la prima opera d’arte partecipata in Italia. La leggenda racconta di una bambina, persa in un violento temporale, che si rifugia in una grotta ma si salva aggrappandosi ad un nastro colorato spuntato dal cielo. Maria vuole sciogliere le piccole inimicizie del paesino unendo simbolicamente le case con 27 chilometri di nastro azzurro e legandole poi tutte alla montagna sovrastante Ulassai. Il nastro va dritto di casa in casa, un nodo sui muri delle case amiche, un pane della festa alle porte di chi si vuole bene, per ricreare l’armonia fra i paesani che infine si legano alla montagna per chiedere pace e protezione.
Vediamo Lola, ormai avanti con l’età, camminare nei boschi e fra le pietre. Soffermarsi alle porte delle Domus de Janas, da lei riproposte in molte opere al telaio. “Le donne impararono dalle janas a tessere con rigore e pazienza, doti indispensabili per la fertilità”. Così nascono i tessuti delle donne sarde con immagini surreali, simboliche. Così nascono le opere d’arte tessute, cucite, legate di Maria Lai. La vediamo aprire con cura e devota attenzione i suoi libri cuciti con il filo che racconta la storia di un popolo e lo tiene legato alle sue tradizioni.
La vita di Maria Lai è stata un lungo viaggio (muore a 96 anni, nel 2013), un lieve continuo passaggio dal cielo alla terra, dal divino all’umano, dal dolore al gioco, dal visibile all’invisibile. L’arte, la bellezza sempre legati con un filo sottile alle tradizioni, ai racconti, agli antichi saperi della terra di Sardegna. Maria Lai, l’artista più rappresentativa della Sardegna, tra le voci più singolari dell’arte italiana contemporanea, ha raggiunto fama nazionale e internazionale; le sue opere sono ospitate in molti musei in Italia e all’estero.
La Stazione dell’Arte, una vecchia stazione ferroviaria appena fuori dal suo paese, è sede di un museo d’arte contemporanea dedicato dai suoi compaesani alla piccola Jana di Ulassai. Fra le virgolette, le sagge parole di Maria Lai.