Siligo, paesino dell’antica regione del Meilogu, fine 1500. Poveri, pastori e contadini, i silighesi vivono sotto l’oppressione dei ricchi; la religione è uno strumento per tenere sotto controllo la plebe, per assoggettarla. Una comunità le cui regole sono le consuetudini non scritte, tramandate oralmente, di generazione in generazione.
In questo contesto incontriamo Julia Casu Masia Porcu, meglio conosciuta come Julia Carta, la “hichezera” (strega) di Siligo e Mores (dove nasce da un’umile famiglia).
Non empie, malvage, maligne, come vuole la fantasia popolare. Le streghe sono donne libere, temute perché custodi di un potere antico, di tradizioni tramandate nei secoli. Ascoltano la natura, il suono delle pietre, il fruscio del vento, il gorgoglio dell’acqua, lo scoppiettio del fuoco; osservano il cielo, seguono gli astri e usano ciò che la natura generosamente offre, le erbe medicamentose, i “brebus” per curare i malanni del corpo e della mente. Sono figlie delle “Janas”, le antiche fate che stanno in mezzo alla natura, al buio delle grotte e che vivono ancora nelle leggende.
Julia impara i “segreti” della natura dalla nonna che le insegna a riconoscere le piante e i loro effetti, le tramanda parole e le svela il loro potere, le fa ripetere frasi in una lingua incomprensibile. La invita a non riferire in confessione le sue pratiche “occulte” ma di sputare i suoi peccati in una buca nel terreno e poi ricoprirla di terra. Impara le arti di guaritrice e le proprietà degli amuleti. Tutti ormai sanno che Julia Carta è una “bruxia”, ha poteri terapeutici, è un’indovina e molti si affidano a lei. Julia diventa una figura scomoda, suscita timore ma anche gelosia, invidia, odio.
Va fermata al più presto. Interviene la Santa Inquisizione con il commissario Juan Tola; il 18 giugno 1596 arriva a Siligo, la strappa dal suo figlioletto, e la rinchiude nel Castello Aragonese di Sassari, sede delle prigioni dell’Inquisizione. Parte il processo a suo carico, a seguito delle denunce di un gruppo di donne raccolte dal parroco di Siligo. Donne che testimoniano le arti magiche di Julia, la pratica alternativa alla confessione, i filtri per curare le malattie. Viene quindi denunciata ed arrestata per affermazioni eretiche e pratiche magiche; si ritrova a dormire sulla pietra, sola e lontana dai suoi affetti. Arriva la condanna a morte.
Julia ancora non comprende di cosa la accusino. Ripicca? Gelosia? C’è chi afferma che si è rifiutata in varie occasioni di praticare le sue cure ad alcune persone. Altri testimoni la accusano: “la strega ha fatto scendere la luna, ha guardato nel fumo di braci malefiche per predire la morte, ha evocato il diavolo, ha profanato il cimitero”. Tutte infamie rigettate da Julia. Nella camera di tortura, confessa di aver fabbricato amuleti, di aver appreso le pratiche alternative alla confessione dalla nonna e le arti magiche dalle zingare. Viene dichiarata colpevole dalla Santa Inquisizione ma le viene risparmiato il rogo.
Una pena ben più severa l’aspetta: oltre alla confisca di tutti i beni, tre anni di reclusione e la “riconciliazione” o “autodafè”. Viene condotta nella Piazza di Santa Caterina a Sassari, affollatissima, il 26 ottobre 1596. Indossa il “sambenito”, un abito scapolare giallo con due croci oblique, una candela in mano, in testa una mitra con simboli e frasi che ricordano le sue colpe, lette ad alta voce perché il popolo senta. La sua abiura Julia la recita in sardo. Dovrà sempre indossare il “sambenito” a memoria delle sue malefatte e come simbolo della vergogna che peserà sulla sua famiglia e sui suoi discendenti. Subirà un altro processo, siamo nel 1614… ma qui Julia scompare nel mistero, la sua figura si perde nella memoria eterna. La vediamo mentre getta via il sambenito e corre lontano dalle accuse pretestuose e grottesche, nel sole, col cuore pieno di tutto il suo coraggio di donna.
La caccia alle streghe andò avanti fino alla fine del 1700. Ma non è ancora finita! La Prefettura di Sassari ha rigettato per ben due volte la richiesta del Comune di intitolare una via di Silligo a Julia Carta Strega. Le streghe fanno ancora paura…ma non alle donne. Ci sentiamo tutte un po’ “bruxie”. Continuiamo a credere, da vere “sovversive” nella possibilità di intervenire per modificare una realtà imposta, di ricercare, pur fra tante difficoltà, un’identità individuale e collettiva, di vivere da comproprietarie e non da inquiline in un mondo dove l’amore vince sull’odio. Vivere da streghe!