Ci sono tanti modi di perpetuare violenza verso una donna. La violenza fisica è forse quella più atroce e meschina, ma ce n’è un’ altra altrettanto subdola e feroce, la violenza psicologica: un macigno invisibile che calpesta e annienta le sue vittime. Una nostra lettrice ci ha scritto raccontandoci la sua esperienza:
“Sono una donna, una mamma, una moglie. L’ordine cronologico con cui ho strutturato la frase non è un caso. Nel corso del mio racconto capirete il perché. La mia è la classica famiglia, un po’ vecchio stampo per l’epoca in cui viviamo, con marito, moglie, tre figli. Il marito molto impegnato con il lavoro, talvolta fuori regione e la moglie ad occuparsi della casa e dei bambini. I primi anni di matrimonio tutto bene. I ruoli che ognuno di noi aveva scelto in maniera consapevole andavano bene, anche perché sono arrivati subito i bambini e ho preferito seguirli nella primissima infanzia. Arriva per loro l’età della scuola dell’obbligo e io decido di riprendere quel lavoro che avevo lasciato per una serie di complicazioni post gravidanza. Tutto va bene, riesco ad organizzarmi con la scuola e il lavoro anche grazie all’ aiuto dei nonni. Poi succede che la crisi porta ad una drastica riduzione del personale nell’ azienda dove ero impiegata e per me non c’è più posto. Di nuovo a casa a fare la mamma e la moglie, con un marito che, alla prima occasione, ti rammenta il fatto che lo stipendio a casa lo porta lui. Rimani zitta, una, due, tre volte, poi sbotti. La violenza non è solo percosse fisiche. È violenza anche la pressione psicologica dell’ uomo che ti fa sentire inadeguata. Non importa se tu hai cresciuto i suoi figli, hai mandato avanti la casa e hai fatto mille altre cose per la famiglia. Per il maschio dominante quelle cose contano meno della retribuzione che lui porta a casa. Tuo marito ti giudica, i tuoi figli no. Sei importante come mamma ma non lo sei più come moglie”.
Un racconto lucido e toccante, quello di Ada (nome di fantasia), che fa riflettere. Una donna va rispettata nel suo ruolo di moglie e di madre, va gratificata ogni giorno, per il suo impegno e per la sua sensibilità. Ancora oggi l’uomo, troppo spesso, a volte anche in maniera inconsapevole, non si rende conto di quanta violenza morale ci sia in certi gesti o insinuazioni riguardanti il ruolo della donna in una famiglia.
Il messaggio nella lettera di Ada non vuole essere quello che vede la donna a casa con i figli e l’ uomo a lavoro. L’auspicio è invece quello che si arrivi ad una parità di genere in ambito lavorativo, familiare e sociale.
Anni di lotta hanno portato la donna all’ emancipazione e al raggiungimento di posizioni lavorative importanti, che un secolo fa avrebbero fatto rabbrividire anche gli uomini meno conservatori. Ben venga la donna che lavora, e che fa carriera al pari del suo antagonista “maschio”.
La famiglia moderna vede i genitori che lavorano e che collaborano insieme in tutto. Ma qualora uno dei due (donna o uomo che sia, marito o moglie, compagno o compagna) non abbia un ruolo nel mondo del lavoro e cooperi comunque con la gestione di tutto il menage familiare, non deve essere giudicato. Il giudizio, a lungo andare, diventa un timbro che crea affanno, chi lo subisce entra in una condizione di inferiorità che lo porterà nel tempo a spezzare quella linea sottile che sorregge l’equilibrio interiore di ciascun individuo.