Due casi di cronaca giudiziaria in questi giorni, due momenti di riflessione su come i casi relativi alla violenza sulle donne sono gestiti dalla giustizia.
Dopo 15 anni di iter giudiziario penoso, il processo si è prescritto. Nessuna giustizia per una giovane gallurese, oggi 36enne, costretta a prostituirsi dal padre e dal fratello ancora minorenne. Minacce, insulti, umiliazioni, percosse e abusi fino al raggiungimento della maggiore età, quando trova il coraggio di chiedere aiuto al centro antiviolenza di Prospettiva Donna. Oggi i colpevoli sono liberi e a lei rimane il fardello insopportabile di una giustizia mai raggiunta e di un dolore interiore che mai si placa.
Una richiesta di archiviazione è stata avanzata i giorni scorsi dal PM nell’ambito dell’inchiesta sull’aggressione subìta davanti ad un supermercato di Nuoro da Maria Lapia, deputata del Movimento 5 Stelle. Questa volta l’archiviazione viene respinta dal GIP del tribunale di Nuoro e l’accusa viene aggravata con un’imputazione per violenza privata.
Per due lunghi anni Maria Lapia ha però subito umiliazioni e attacchi di ogni genere e da ogni dove, accusata di essere bugiarda, mitomane e di aver simulato l’aggressione. Invece è vittima e finalmente il giudice stabilisce l’esistenza di un violento. E’ che, per principio – nella nostra cultura distorta e misogina – la donna che subisce un’aggressione è sempre colpevole: perché indossa gonne troppo corte, jeans troppo attillati, perché ha bevuto, perché è troppo sicura di se, perché ha sorriso compiacente; c’è sempre un motivo per discreditarla, diffamarla, denigrarla.
La denuncia di una donna violentata, maltrattata è sempre posta in discussione. C’è bisogno di tanta forza, caparbietà, coraggio per non cedere di fronte alle difficoltà che il cammino giudiziario presenta. Affrontare il pubblico ludibrio, essere bersaglio di offese, allusioni e calunnie sessiste pur di arrivare alla “giustizia” è delle donne forti e coraggiose, un prezioso esempio per tutte le altre che il coraggio ancora non lo trovano.
Dentro e fuori le aule di giustizia, sui social, giornali, radio e televisione, vengono spesso istituiti processi mediatici alla vittima piuttosto che all’aggressore violento. La lentezza della giustizia come anche un linguaggio irrispettoso, stereotipato e una narrazione scorretta non sono buoni alleati delle donne, sono una gogna pubblica per le vittime, violenza che si perpetua, che continua a ferire, una vittimizzazione secondaria.
Evitare la spettacolarizzazione e usare un linguaggio rispettoso nei casi di violenza di genere è un principio ribadito nell’ultimo Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti che ha, in tal senso, modificato il relativo articolo del testo deontologico dell’Ordine. E’ un gesto che va nella direzione del rispetto delle differenze di genere, un contributo di civiltà che arriva alla vigilia del 24 novembre, giornata mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Sicuramente importanti sono gli eventi, gli incontri e le manifestazioni, che ogni anno si organizzano, come opera di sensibilizzazione nei confronti della violenza di genere ma ora è necessario un cambio di marcia.
La violenza di genere è una violazione dei diritti umani, è un fenomeno strutturale e non emergenziale che necessita una trattazione profonda, una ricerca di soluzioni decise ed immediate per educare la società ad un futuro migliore e consegnare i mostri violentatori nelle mani di una giustizia veloce, sensibile e rispettosa nei confronti di chi li subisce.