“C’era una volta il lavoro…” potrebbe essere raccontata così, come in una favola, la scomparsa del grande assente della Festa del Lavoro, vittima anche lui del virus che ne ha mutato forma e fisionomia.
Non godeva di buona salute neanche prima: lavori precari, sottopagati, contratti capestro avevano già creato situazioni limite per tanti lavoratori, facilmente ricattabili e sulla soglia della povertà.
Il Covid ha portato questa situazione ad un livello di drammaticità insostenibile. Oltre la metà degli Italiani vive tra angoscia ed ansia per il proprio futuro occupazionale. Un’indagine della “Fondazione Studi Consulenti del Lavoro” rivela che attualmente sono 1,8 milioni i lavoratori che non sono occupati e 7,5 milioni quelli che hanno subito un forte calo nel reddito. A questi numeri si aggiungono 2,6 milioni di dipendenti che vedono a forte rischio il proprio lavoro sull’onda dello sblocco dei licenziamenti.
Una festa del lavoro solo per pochi fortunati quindi. Un primo maggio di sofferenza per molti: senza lavoro, con interi settori chiusi o ridotti drasticamente come il trasporto aereo e l’intero comparto del turismo, anche se si intravede una timida ripartenza di chi è riuscito a sopravvivere a questo tzunami e sta faticosamente riabilitandosi ad una parvenza di normalità.
Non sarà facile, il cambiamento generato dalla crisi pandemica è irreversibile, non si tornerà più alla situazione pre-covid: il virus ha modificato la struttura del tessuto economico che rende necessario concepire una nuova organizzazione del lavoro in tutti i settori.
Il 1° maggio quest’anno non può essere una giornata di festa per nessuno ma di riflessione su quanto stiamo vivendo e sui cambiamenti sostanziali generati da questo periodo mai vissuto prima, da una crisi sanitaria, economica, lavorativa mai sperimentata.
Le persone più colpite si trovano, come sempre, nella parte più debole e fragile della società: gli anziani che hanno pagato un contributo altissimo con migliaia di morti, i giovani che hanno perso più di un anno di socialità con la DAD e le donne che hanno perso il lavoro o che hanno dovuto aggiungere al lavoro fuori casa quello domestico per la chiusura degli asili e delle scuole. E nella parte più fragile della società è andata a finire, in questa situazione, anche una fascia consistente di popolazione che, già prima del covid, viveva quasi ai limiti della sopravvivenza.
Una cosa dovrebbe insegnare questa brutta esperienza: dare il giusto valore al lavoro e fare in modo che sia remunerato adeguatamente. Ribaltare le logiche con cui attribuiamo valore sociale ed economico alle professioni e ai mestieri. Quando questo incubo sarà finito, ricordiamoci che tutti i lavori sono indispensabili, e ne abbiamo avuto la conferma in questo periodo emergenziale, tutti i lavoratori meritano dignità e giusta remunerazione. Facciamo in modo che chi di dovere si Impegni a garantire loro condizioni di vita e di lavoro più eque e dignitose. E’ l’unico modo per festeggiare quest’anno il 1° maggio.