La variante inglese esplosa ad Alghero nella settimana prima di Pasqua ha messo in evidenza tutte le criticità di un sistema che, nonostante abbia avuto un anno per prepararsi, fa acqua da tutte le parti. Questa versione del Covid-19 prevede dieci giorni di isolamento fiduciario e due tamponi – uno ad inizio e uno a fine quarantena – questo perché la sua virulenza può determinare la positività anche dopo dieci giorni.
La variante inglese colpisce maggiormente i bambini e Alghero è il caso emblematico. 21 le classi in quarantena. Tantissimi i bimbi positivi, buona parte di questi asintomatici, ma con genitori che presentano sintomi.
L’illuminata macchina organizzativa delle ATS regionali ha organizzato i tamponi in modalità pit-stop: arrivi in macchina, ti fanno il tampone e riparti. Nessuno scende, nessun contatto nella strutture ospedaliere, rischio di contagio minimo. Ma per chi non ha macchina!? La risposta dell’Ats, che si è attivata per dirimere la matassa di persone in quarantena nella Riviera del Corallo è stata: “nessuna possibilità di tampone a piedi nelle strutture ospedaliere” . O macchina o nulla.
Le famiglie prive di auto si sono trovate spiazzate e alle poche parole rassicurative non sono seguiti i fatti.
La storia di Ana – nome di fantasia per tutelare la giovane mamma e le sue due bambine – ha dell’assurdo e fa emergere le gravi difficoltà gestionali che la pandemia vive giorno dopo giorno. Ana non ha auto, vive sola con due bambine, una di quattro anni e una più piccola. L’Usca, contattata più volte telefonicamente e via mail aveva assicurato un tampone domiciliare a inizio quarantena per la sua bambina, entrata in contatto con bimbi positivi alla scuola dell’infanzia, ma nessuno si è mai presentato alla sua porta.
Ana ha rispettato l’isolamento fiduciario e dal 26 marzo è rimasta completamente sola nella sua casa.
Nei giorni di Pasqua Ana è stata male. Tre giorni di capogiro intenso, non sente più gli odori ed è molto debole. Il suo medico di base le dice che, non avendo febbre, non si può attivare l’Usca e che a suo dire non è Covid, deve aspettare il tampone della sua bambina. Ma il tampone della piccola non è programmato e probabilmente, nonostante i regolamenti, ne farà solo uno a fine quarantena cioè il 9. Ana sta ancora male e vive la sua condizione in totale solitudine, vittima di meccanismi complessi che non tengono conto delle singole casistiche, che trattano le famiglie come numeri.
In dieci giorni non c’è stata la possibilità di fare un tampone a domicilio e neppure al civile a piedi. In dieci giorni medici di base e pediatri si sono rimbalzati la responsabilità di attivare l’Usca, perché, a loro dire, non si stava abbastanza male o non c’era granché pericolo. Ma il pericolo è reale perché se Ana è positiva i suoi contatti non sono stati tracciati da nessuno e potenzialmente continuano a contagiare. Nel frattempo l’Usca continua a chiedere l’intervento di medici di base e pediatri, Ana aspetta e il virus si diffonde silenzioso.