Era il 6 maggio 2020 quando, nel pieno dell’emergenza Coronavirus, il FAI – Fondo Ambiente Italiano dava il via con grande passione civile alla decima edizione de “I Luoghi del Cuore”. L’invito rivolto agli italiani era quello di esprimere l’amore per il proprio Paese in un momento di così grande difficoltà, votando i luoghi a loro più cari, quelli di cui avevano sentito fortemente la mancanza nei giorni passati giocoforza chiusi in casa e a cui avrebbero voluto assicurare, grazie a questo censimento, tutela e valorizzazione. E la risposta a questa esortazione è stata davvero eccezionale: i voti raccolti fino al 15 dicembre, giorno di chiusura dell’iniziativa, sono stati 2.353.932, il miglior risultato di sempre, con oltre 39.500 luoghi segnalati in 6.504 Comuni d’Italia (l’82,3% del totale).
A vincere questa edizione del censimento del FAI non sono stati solo i luoghi più votati, con le loro storie affascinanti e la loro necessità di cura, restauro e attenzione, ma anche l’intero patrimonio culturale e ambientale italiano, il cui immenso valore per la collettività in termini di identità, memoria, legami sociali, esperienze di vita e speranze future emerge limpidamente scorrendo la variegata classifica dei “Luoghi del Cuore” (consultabile sul sito www.iluoghidelcuore.it).
In Sardegna sono tre i luoghi che hanno superato le duemila adesioni utili per rientrare nella classifica nazionale: la stazione del trenino verde di Tempio, la Torre di Marceddi e la villa Antonioni di Costa Paradiso. Scopriamo questi luoghi del cuore isolani.
Stazione e trenino verde, Tempio Pausania
La stazione si trova lungo la linea ferroviaria a scartamento ridotto che collegava la cittadina della Gallura con Sassari e Palau, oggi solo con Palau. L’edificio, costruito tra il 1929 e il 1931, conserva la struttura e gli arredi originari, così come le officine che vi sorgono accanto, un tempo adibite alla manutenzione dei treni e trasformate oggi in “Museo dell’Antica Officina Ferroviaria”. La facciata della stazione, rivolta verso il centro abitato, è ispirata agli stilemi liberty e si caratterizza per un’accurata scelta dei materiali – granito, mattone e intonaco – oltre che per la raffinata pensilina in ferro battuto. La parte più suggestiva è la sala d’aspetto, decorata da un ciclo pittorico di Giuseppe Biasi (1855-1945), uno dei maggiori esponenti della pittura sarda del Novecento. Realizzato nel 1931-32, raffigura il mondo dei contadini e le tradizioni popolari della Sardegna. I dipinti, su tela, versano in pessime condizioni. Il comitato “Amici della Stazione” ha raccolto i voti per chiedere interventi di recupero sull’edificio, il restauro delle tele e la valorizzazione della stazione e della ferrovia storica percorsa dal “Trenino Verde”.
Torre di Marceddì, Terralba (OR)
Costruita intorno al 1480, la torre faceva parte del sistema difensivo del golfo di Oristano – con cinque torri collegate visivamente tra loro – realizzato durante la dominazione spagnola per proteggere la costa dalle continue invasioni saracene. Di forma troncoconica, con un diametro alla base di circa 12 metri e un’altezza di 8, la torre aveva un ingresso rialzato, raggiungibile tramite una scala che poteva essere ritirata in caso di attacco. All’interno vi erano una stanza principale voltata, una cisterna sotto di essa in cocciopesto, tecnica che ne garantiva l’impermeabilizzazione e dunque la conservazione dell’acqua piovana durante i mesi più caldi o in caso di assedio, e la terrazza, sulla quale veniva accesso il fuoco di segnalazione in caso di pericolo. Probabilmente utilizzata fino al 1843, quando Marceddì – oggi suggestivo borgo di pescatori – cessò la propria funzione di porto franco, la torre fu modificata durante la Seconda Guerra Mondiale. Dopo oltre 70 anni di abbandono, il Comune di Terralba e la Fondazione MEDSEA ne hanno avviato il restauro lo scorso giugno, con l’obiettivo di creare un piccolo museo al piano terra e di rendere la terrazza un punto di osservazione dell’importante area umida circostante, ricca di avifauna. I voti sono stati raccolti per promuovere la conoscenza della torre.
Villa per Michelangelo Antonioni a Costa Paradiso, Trinità d’Agultu (SS)
Nel 1964, durante le riprese di Deserto Rosso sull’isola di Budelli, Michelangelo Antonioni conobbe l’imprenditore che stava acquistando dei terreni sul mare per il progetto turistico di Costa Paradiso, in Gallura. Innamoratosi del luogo, decise di farvi costruire una villa, il cui progetto venne commissionato all’architetto Dante Bini, che la compagna Monica Vitti aveva conosciuto a Cortina d’Ampezzo. L’architetto aveva negli stessi anni brevettato la binishell, un ingegnoso sistema per realizzare semisfere in cemento armato sollevando e gonfiando con la sola pressione dell’aria materiali posati a terra. Antonioni e la Vitti si appassionarono all’idea e nel 1970-71 sorse così “La Cupola”, perfettamente integrata nell’ambiente naturale. Frequentata all’epoca dell’amore tra Antonioni e la Vitti da attori e registi, vincolata dal 2015 come Bene di valenza storico-artistica dal MiBACT e celebrata su riviste come Domus e da architetti del calibro di Rem Koolhas, la villa, di proprietà degli eredi del regista, si trova oggi in un desolante stato di abbandono, esposta al degrado, ai furti e agli atti vandalici. Il comitato “La Cupola di Dante Bini per Michelangelo Antonioni”, composto da un gruppo di architetti, ha promosso la raccolta voti auspicandone il recupero e la valorizzazione.